Trinciatura verso un nuovo equilibrio

Il mercato del “nuovo” è tornato ai valori del 2009, dopo il picco degli anni passati. Ma l’espansione ha lasciato il segno

L’andamento dei mercati ha mostrato che esiste una corrispondenza diretta fra il numero degli impianti di trasformazione di energetica di prodotti agricoli e gli acquisti di falciatrinciacaricatrici nuove.

Senza nulla togliere alla zootecnia, che resta il principale consumatore di trinciato, l'espansione del biogas ha profondamente mutato la vocazione produttiva di almeno 300.000 ettari di seminativi, convertiti a cereali da biomassa. Ma, come sappiamo, il settore si è da tempo stabilizzato: dopo il boom dei primi anni di questo decennio, sostenuto da incentivi assolutamente incongrui (poi ridimensionati), sono venuti meno gli intenti speculativi e si è raggiunto un sostanziale equilibrio. Il mercato del “nuovo” è tornato ai valori del 2009 (una settantina di macchine all'anno), dopo il picco degli anni passati; ma l'espansione ha lasciato il segno, anche se gli effetti non sono ancora avvertibili.

L'impennata delle vendite degli anni scorsi ha aumentato il numero di macchine in esercizio, che porterà a un maggiore tasso di sostituzione, quando sarà il momento. Per ora è presto: il boom delle trince era iniziato nel 2010 e sei anni sono troppo pochi per ammortizzare un oggetto da 300.000 euro, tenuto conto che la superficie mediamente lavorata (per macchina) non supera i 3-400 ha. Con impieghi tanto ridotti è difficile ammortizzare una trincia prima di 13-15 anni di età; se si prende il numero degli impianti a biogas di due Paesi a caso – Italia e Germania – si osserva che viene acquistata una trincia nuova per ogni 14 digestori in esercizio. I parametri economici assumono un peso notevole sulla gestione di questa macchina, che detiene il record del cantiere di lavoro più oneroso per il contoterzista.

Questo può sembrare strano, sul piano della complessità costruttiva: una mietitrebbia o un'altra macchina da raccolta – come una scavabietole – sono certamente più complicate, grandi e pesanti, pur denunciando un costo talora inferiore.

Perché costano così tanto

Se ragionassimo “un tanto al chilo”, espressione che può far sorridere pensando a mezzi di impiego professionale, la trincia è una delle macchine più costose in assoluto, e ciò è legato a due fattori indipendenti ma entrambi significativi. Benché una trincia sia costruttivamente piuttosto semplice, la quantità di prodotto che entra (intero) ed esce trinciato dalla macchina nel corso del suo ciclo di vita è impressionante, dell’ordine di alcuni milioni di tonnellate. Questo spiega indirettamente perché una trincia, anche di classe media, e quindi con una motorizzazione di grande serie, possa arrivare a costare il doppio di un altro mezzo da lavoro di analoga potenza e peso. È certamente una questione di materiali: benché siano sempre meno le macchine agricole realizzate con normali acciai da costruzione, per questo tipo di operatrice la ricerca sui materiali (acciai legati ad alta resistenza) raggiunge i massimi livelli per il settore agricolo.

Gli elementi di valutazione che giustificano l’alto costo della macchina sono principalmente:

  • le “piccole”, fino a 6-700 cavalli, impiegano motori derivati da quelli montati sugli autocarri pesanti, costruiti in grande serie, che possono contare su notevoli economie di scala;
  • le macchine di gamma alta devono invece essere azionate da grossi motori industriali (simili a quelli impiegati nel movimento terra e sulle imbarcazioni), che hanno costi di produzione sensibilmente più elevati, costruiti in serie limitata;
  • nell’uno e nell’altro caso, però, i numeri di produzione sono veramente esigui; benché i costruttori siano relativamente pochi, la diversificazione dei modelli e la ridotta domanda di mercato (alcune migliaia di esemplari, a livello mondiale) portano a un’automatica lievitazione dei prezzi di listino.

Se è vero che la trincia è il “cuore” del cantiere di lavoro, è vero anche che si devono aggiungere almeno due testate di raccolta: una polivalente ad aspi orizzontali per la trinciatura integrale e una barra di taglio con spannocchiature per il pastone. Quando si vuole allargare il calendario di lavorazione, o ampliare la superficie con colture che consentano due raccolti all’anno, diventa necessario acquistare una barra falciante per erbai di cereali vernini (orzo o triticale), con ulteriore incremento della somma investita. Dove esistono colture arboree a ciclo breve per la produzione di cippato di legno, la trincia può essere allestita con una barra di taglio specifica (e spesso con un rotore a ridotto numero di coltelli) che richiede un investimento considerevole. In tal caso, però, ci sono concrete possibilità di aumentare l’impiego annuo della macchina, dato che queste colture devono essere raccolte nei mesi invernali, quando la trincia sarebbe inoperosa; una soluzione ancora poco praticata in Italia, ma che presenta interessanti prospettive di sviluppo.

A fronte di un incremento del 25-30% dell’investimento complessivo (fra la trincia e le varie testate necessarie), la raccolta delle colture arboree a ciclo breve, combinata a quella di mais e graminacee a semina autunnale, può consentire il raggiungimento un impiego annuo prossimo a 1.500 ore. La media nazionale, specialmente nelle macchine impiegate per conto proprio, è molto inferiore e può comportare talvolta serie difficoltà di ammortamento, ovvero costi maggiorati rispetto a quelli offerti dai contoterzisti più efficienti e meglio organizzati. Se riflettiamo sui dati esposti in Tab. 1, infatti, il costo di trinciatura per l’allevatore o l’impianto di trasformazione raggiunge il livello di indifferenza solo aumentando a dismisura il tempo di ammortamento, oppure accettando un costo reale maggiorato rispetto alla tariffa applicata dal terzista.

Leggi l’articolo completo su Il Contoterzista n. 5/2016L’edicola de Il Contoterzista

Trinciatura verso un nuovo equilibrio - Ultima modifica: 2016-05-04T12:42:26+02:00 da Roberta Ponci

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